'C’è silenzio quassù. Quel silenzio così presente da farti ascoltare ogni parte di te chiedendoti presenza, concentrazione e fiducia. Chiedendoti solitudine. All’alta montagna bisogna assomigliarle per poterla accettare.' Scrissi questo, sul piccolo taccuino che porto sempre con me. Lo porto quasi per paura di non riuscire a godermi totalmente il momento, segno i particolari della via, le emozioni, le paure.
Quella mattina la sveglia suona alle 4, niente di nuovo per salire in ghiacciaio. Uno spesso strato di nuvole copre la cima del Bianco (al secolo, per i pochi che non lo sapessero, il ‘Monte Bianco’), lasciando respirare Helbronner ed i colli minori. Partiamo, senza nemmeno pensare a quel che potrebbe aspettarci. L’obbiettivo è ben chiaro in testa, la traccia parte subito dopo essere scesi dalla Skyway, punta a Nord, perde quota per riprenderla poco dopo, poi solo salita, fino all’Aiguille du Midi.
La gabinovia si ferma: “uscita alpinisti”.
Fuori è ancora buio, forse per l’ora, forse per le nuvole. Quel buio che ti costringe ad usare tutti gli altri sensi, la vista non può. Senti il vento freddo, controlli il termometro per avere la conferma di essere ampiamente sotto lo zero. In lontananza un muro nero non promette nulla di buono, si riesce a stento a parlare, il vento porta via le parole, fino al silenzio. Pensiamo che, come spesso accade, i nostri piani debbano cambiare, che non si può rischiare, che a quell’altezza e con quelle distanze non c’è margine d’errore, ogni piccolo insignificante sbaglio si somma agli altri fino a diventare troppo grande per essere gestito. Decidiamo di non provare, di dirottare su una delle cime minori, l’Aiguille de Toule ci aspetta. Percorriamo i grigliati che ci portano ad un piccolo cancello da scavalcare, di qui scendiamo su ferri fino a toccare, finalmente, il ghiacciaio. Mettiamo i ramponi, prepariamo la corda, apro traccia io, ho un passo più lento. Perdiamo qualche metro di quota per proseguire in piano fino all’attacco della via.
Non sembra nulla di complicato, il sole sta anche pensando che forse ci meritiamo un po’ di pace.
Il mio compagno di cordata passa per primo, non abbiamo più la corda per giusto che sia, mi batte traccia, mi parla, anche quando la pendenza sembra voler vincere sulla razionalità dei gesti.
Arriviamo ad una cengia che sembra voler calmare qualunque paura, ci godiamo quell’attimo di pace, le nuvole si scostano e lasciano spazio a tutti i 4810 metri della punta del Bianco.
Procediamo velocemente su misto, II o III grado, nulla di più. Siamo in vetta, 3583m slm.
Mi siedo, guardo attorno a me, la giornata è diventata splendida. L’incognita della salita lascia spazio, pian piano, alla coscienza della discesa e così un’altra parte profonda di me sembra tornare nel proprio esatto posto.
Tiro fuori il mio taccuino ed inizio a scrivere, non vorrei dimenticare.
Camilla Marchioni
Comments